Sia nel mondo greco che in quello romano la presa in carico del disabile è una scelta familiare, che può confrontarsi con le pratiche legittime dell’esposizione, dell’abbandono e dell’infanticidio.
E’ evidente come una teorizzazione dell’incompiutezza, condivisa da contesti geografici e culturali diversi, sia strettamente legata alle implicazioni sociali, religiose e giuridiche che determinano come conseguenza la liceità delle pratiche di abbandono e esposizione dei disabili. In particolare, l’esposizione è accettata per disabilità fisiche e psichiche, che non possono contribuire come individui sociali all’organizzazione civile. Aristotele espressamente ricorda che la legge consente esposizione e abbandono dei ‘deformi’. A Roma, Dionigi di Alicarnasso ricorda che per un lungo arco di tempo era consentita al padre l’uccisione dei figli prima del compimento del terzo anno di età e che la legge delle XII Tavole prevede la possibilità di sopprimere le “nascite mostruose”.
I modelli di spiegazione ‘medica’ della malattia gettano luce fioca sui trattamenti riservati ai malati cronici: il concetto ontologico associa la malattia alla colpa e che vede i disabili trattenuti presso le famiglie di origine e nascosti o ostracizzati come portatori di disgrazie per il gruppo sociale di appartenenza. Il modello ‘razionale’ ippocratico, che insegna che la malattia è parte dei fenomeni naturali che possono coinvolgere l’uomo e non ha relazioni volontà exrtraumane, non ha una chiave di lettura univoca che giustifichi la nascita di bambini con disabilità: i testi ippocratici sono inclini a considerare come fattori causali maggiori difetti meccanici di costituzione dell’utero che comprime il feto e non ne consente il regolare sviluppo. Talvolta possono essere accolte cause embriogenetiche, dovute a difetti di calore durante la gravidanza, che impediscono il regolare sviluppo del concepito. Aristotele tende a privilegiare la costituzione difettuale delle donne, più umide e fredde di quanto la natura preveda per chi è perfettamente sano (il maschio), come elemento di dominanza sulle buone qualità del seme paterno, che non riesce ad imporsi nella ‘fattura’ di un figlio sano. Sorano legge la deformità degli arti più che altro come effetto di usi e costumi di allevamento, spiegando che le gambe storte che spesso caratterizzano i bambini romani ricordando lo scorretto uso di far camminare i piccoli in maniera precoce, caricando di peso ossa per natura morbide e facili a deformarsi.
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