La visione medica e filosofica greca incentrata sulla funzione riproduttiva spiega la particolare teoria della patologia femminile che, presente tanto negli scritti ippocratici quanto nelle opere platoniche e aristoteliche, avrà conseguenze durature sulla concettualizzazione del corpo femminile nella medicina a Roma e ben oltre, spingendosi a condizionare teorie e pratiche della cura almeno fino al primo Evo moderno: il corpo delle donne, per rimanere in condizione di equilibrio, deve riuscire a eliminare l’eccesso di umidità e freddezza che lo caratterizza e lo rende instabile. Ogni difetto nel ciclo mestruale, che costituisce l’unico modo per il corpo di liberarsi dall’eccesso di scorie che non riesce a eliminare per la sua fisiologica sovrabbondanza di umidità, costituisce un presupposto di malattia; le mestruazioni sono un fenomeno necessario al mantenimento della salute. L’idea che il flusso mestruale sia un sistema necessario di purgazione del corpo e, pertanto, contenga elementi residuali e corrotti giustifica l’idea, ancora oggi in molte culture popolari, della ‘patogenicità’ del ciclo: Plinio, nella Naturalis Historia, getta le basi di tradizioni popolari di lunga durata in cui il semplice contatto con una donna mestruata può corrompere la lievitazione, causare la morte delle piante, far inacidire la fermentazione del vino, uccidere le api, opacizzare l’avorio e far arrugginire anche i metalli pregiati.

La sola fase della vita femminile in cui la sospensione del ciclo mestruale non riveste un significato patologico è quella della gravidanza: infatti, il contatto con il seme maschile, caldo e vitale, consente alle scorie prodotte dal corpo delle donne di essere reimpiegate in un processo costruttivo me produttivo e di diventare prima materia per la costruzione del feto, poi latte nutritivo per il neonato.

Il corpo femminile è, dunque, fragile e in precario equilibrio: ha bisogno di cercare all’esterno le qualità che mancano e che possono stabilizzarlo.

Per questo l’utero femminile è dipinto negli scritti platonici e aristotelici come un organo senza sede fissa, in grado di muoversi – come un animale- all’interno del corpo e anche di spingersi verso l’esterno, alla costante ricerca del contatto con il calore maschile che, rendendolo fertile, lo ferma in una sede fissa per i nove mesi della gravidanza. Il girovagare affannato dell’utero alla ricerca del suo principio stabilizzatore costituisce la base della malattia che i testi greci chiamano isteria: se l’utero sale e comprime diaframma e polmoni, le donne hanno affanno, alterazioni della voce, comportamenti anomali, talvolta crisi di follia. Se l’utero scende verso il basso, esso fuoriesce dal corpo (presumibilmente nella descrizione del prolasso). In ogni caso, la malattia caratterizza quelle fasi della vita femminile, come la giovinezza e la vecchiaia, in cui il rapporto sessuale non è consentito o non è più possibile.

Il riscaldamento del corpo delle donne è, infatti, possibile per ‘prestito’: il seme maschile, che è per sua natura caldo, trasforma l’utero in una sorta di forno, in cui il feto viene ‘cotto’ fino al momento in cui, completo e ben formato, esso viene espulso all’esterno.

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