Fino alla fine del secolo scorso, leggendo articoli o resoconti di scavo riguardanti gli insiemi funerari venuti alla luce nel territorio di Roma, di rado si trovavano notizie sugli scheletri (Catalano et al., 2012). Questi, pur non possedendo nulla che consenta di inserirli in quei canoni estetici che per troppo tempo hanno limitato l’approccio metodologico della scuola archeologica italiana allo scavo dei sepolcreti, rappresentano comunque l’elemento più importante della sepoltura (Duday, 2006). Per tentare di ricostruire il comportamento dell’antica popolazione di Roma di fronte alla morte, si sono ottenuti dei risultati apprezzabili ponendo al centro dell’attenzione proprio gli scheletri, quel che resta dei primi abitanti della città, registrando così molti degli eventi da questi vissuti e svelabili, seppur parzialmente, solo in seguito ad una meticolosa indagine antropologica (Catalano, 2015). In particolare tra la fine degli anni ’90 ed i primi anni di questo secolo, in seguito alla necessità di realizzare imponenti opere civili ed alla inarrestabile urbanizzazione delle periferie, sono state scavate a Roma complessivamente circa 6000 sepolture, nella grande maggioranza dei casi inquadrabili cronologicamente tra il I ed il III sec. d.C. e relative, nella quasi totalità, a contesti archeologici suburbani. Al loro interno vi sono numerose sepolture infantili, il cui scavo ha presentato particolari difficoltà, a causa di molteplici fattori: infatti, spesso queste erano ricavate negli strati più superficiali del terreno e di conseguenza, nel corso dei secoli, hanno subito danni irreparabili, in seguito ai continui lavori agricoli e ad interventi edilizi di vario genere, tipici delle periferie metropolitane; inoltre, lo scarso grado di mineralizzazione delle ossa infantili le rende fragili e particolarmente soggette ai fenomeni diagenetici intervenuti nel tempo, aggravati da una diffusa acidità dei terreni di inumazione, tipica della campagna romana. E’ comunque opportuno sottolineare che i Romani prestavano cura alla sepoltura dei loro piccoli, deponendoli in tombe quasi sempre individuali e, talvolta, con corredi di pregevole fattura. I risultati esposti sono relativi complessivamente a 561 individui, morti ad un’età compresa tra 0 e 12 anni, provenienti da sette necropoli, di consistente entità numerica, dislocate in diverse zone del Suburbio, databili tra il I ed il IV sec. d.C. e denominati: Lucrezia Romana, Quarto di Corzano, Quarto Cappello del Prete, Castellaccio, Padre Semeria, Casal Bertone e Collatina (vedasi pianta). Le sepolture degli infanti sono, nell’81% dei casi, fosse terragne o scavate nel banco tufaceo, mentre il restante 19% presenta altre tipologie: si tratta per lo più di loculi, ma anche di sarcofagi, forme all’interno di mausolei, urne, fosse di riutilizzo dei mausolei, anfore e coppi. La copertura mediamente è presente nel 52% delle tombe: il dato potrebbe essere stato limitato dai già citati danneggiamenti, dovuti ai lavori di aratura. E’ composta il più e volte da tegole disposte in piano mentre la copertura “a cappuccina“ è presente solo nel 18% delle sepolture, analogamente a quanto riscontrato per le coperture di tegole ad uno spiovente. Molto rari i frammenti d’anfora, le lastre di marmo ed i coppi; in un caso si presenta “a bauletto”. Questi dati sembrerebbero indicare la fruizione dei sepolcreti in esame da parte delle fasce povere della popolazione. Tale ipotesi sembra confermata dalla non elevata frequenza delle tombe contenenti corredo funebre (mediamente solo il 33%). Esaminando il fenomeno in funzione dell’età alla morte, si osserva che il corredo è maggiormente presente nei bambini deceduti tra i 2 ed i 5 anni. Più spesso sono stati ritrovati: vasi, lucerne e unguentari vitrei; è comunque diffuso l’utilizzo della moneta e, anche se in misura leggermente inferiore, dei monili (per lo più in oro e argento), mentre i chiodi con probabile valenza apotropaica sono alquanto rari.
La stima dell’età alla morte sul campione totale ha consentito di inserirne il 61% nella classe Infante I (0-6 anni) ed il restante 39% nella classe Infante II (7-12 anni). Quando lo stato di conservazione dei reperti lo ha permesso, l’intervallo è stato ulteriormente circoscritto: si è potuto osservare che più di un terzo degli individui è deceduto nel primo anno di vita e che il restante 65% si distribuisce quasi uniformemente negli altri intervalli. Il rito funebre riservato dai Romani ai propri bambini non sembra differire in modo significativo da quello dedicato agli adulti: le tombe infatti, sono per lo più singole e, contrariamente a quanto riscontrato in epoca protostorica nell’area laziale, quando spesso sono ricavate nel fondo delle abitazioni, si collocano sempre all’interno di contesti sepolcrali e talvolta in aree appositamente preposte. In accordo con le fonti storiche e con le disposizioni legislative allora in vigore, si è potuto constatare che nel mondo romano raramente il defunto era accompagnato da un ricco corredo, come avveniva invece tra i popoli italici e della Magna Grecia.
In ogni caso, sono proprio le sepolture infantili e giovanili ad aver restituito, negli ultimi decenni, gli oggetti di maggior valore e di pregevole fattura, a testimonianza della grande partecipazione emotiva del popolo romano alla morte prematura.
Catalano P., Benassi V., Buccellato A., Caldarini C., Egidi R., Mosticone R.,
Musco S., Pantano W., Paris R., Pescucci L., Funere mersit acerbo: Rome impériale et
ses enfants à travers la recherche anthropologique. In: Nenna M.D. (ed.), L’Enfant et la mort dans l’Antiquité II, Centre d’Études Alexandrines, Alessandria d’Egitto, 2012, 461-470.
Duday H., Lezioni di Archeotanatologia: archeologia funeraria e antropologia di campo. 2006, Roma.
Catalano P., Gli scheletri degli antichi romani raccontano. Indagini antropologiche su 11 sepolcreti di età imperiale del suburbio romano. Medicina nei Secoli, 2015; 27 (3), 773-785.
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