In Grecia, il modello di corpo sano, idealizzato dalla cultura aristocratica e dal canone policleteo, condiziona comportamenti sociali in cui ogni forma di diversità, inclusa quella di genere, è marginalizzata sia dal punto di vista giuridico che nelle discussioni filosofiche.
Certo non è possibile generalizzare: contesti diversi dimostrano attitudini parzialmente dissimili, come dimostra bene il caso di Sparta e di Atene. Le stesse fonti scientifiche, sia mediche che filosofiche, offrono solo un inquadramento di massima della percezione culturale dell’infanzia: per quanto i bambini non rientrino tra i soggetti a cui vengono dedicati trattati specifici, numerosi testi ci aiutano a tratteggiare una concezione dell’infanzia come ‘terra di confine’, che accomuna il mondo greco e quello romano. Il bambino è dipinto come essere incompiuto e parziale già negli scritti ippocratici: da essi possiamo desumere l’immagine complessiva di un corpo in cui gli umori sono in uno stato di cozione imperfetta, a causa dell’insufficiente sviluppo del calore vitale e della fisiologica predominanza di qualità umide e fredde che assimilano i corpi dei bambini a quelli, altrettanto imperfetti, delle donne. Il corpo infantile è caratterizzato, infatti, da una dominanza di sangue e flegma, cioè di elementi caldi ed umidi, destinati a scemare in adolescenza, quando prevarrà il calore della bile gialla che avvierà verso la maturazione e la crescita. Il bambino, dunque, anche quando è sano, è un essere fragile, che vive su un crinale, sempre a rischio di scivolare nella malattia: l’eccesso di umidità che ne rende il corpo morbido e flessibile, più elastico di fronte a traumi e fratture, è nel contempo l’elemento che rischia di farlo ammalare. Questo stato ‘difettuale’ viene amplificato nelle fonti filosofiche, in particolare in Aristotele, che arriva ad ipotizzare l’educazione dei figli maschi come sistema correttivo dei deficit imposti dalla natura, che sono fisici e mentali.
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