La violenza caratterizza ogni aspetto della società romana e lascia tracce significative non solo nelle guerre e negli scontri tra fazioni politiche, ma anche nella quotidianità della vita pubblica, domestica e persino nelle occasioni di divertimento. Per quanto infatti esistessero forme istituzionalizzate di controllo sociale come le gentes, la clientela o il richiamo costante al mos maiorum, già l’ultima fase della storia repubblicana di Roma è contraddistinta da un inasprimento della dialettica politica dovuto alle proposte graccane di ridistribuzione dell’ager publicus e al peso sempre maggiore che i generali acquistano attraverso la fidelizzazione delle truppe. L’inquietudine della plebe urbana e la minaccia all’ordine dello stato giustificano la promulgazione di leggi concepite per arginare la violenza (leges de vi): molte orazioni ciceroniane offrono un quadro vivace di come tanto il confronto politico, le questioni ereditarie e sentimentali fossero affidate all’azione di un veleno o di un sicario. L’assassinio del cesariano Clodio ad opera del suo avversario Milone sulla via Appia è solo uno degli esempi più noti di come il confronto politico si fosse tramutato in uno scontro tra bande armate.
Le mura domestiche non erano meno violente delle strade. Paradossalmente, era la legge ad armare la mano del pater familias contro i familiari e gli schiavi che vivevano sotto il suo tetto. In particolare la servitù, che Varrone colloca tra i genera instrumenti insieme a buoi e carri, poteva subire un trattamento che andava dalla semplice umiliazione e fatica dello sfruttamento per le mansioni più degradanti, come testimonia la lettera 47 a Lucilio di Seneca, all’impiego nei disumani lavori forzati degli ergastula, fino al supplizio pubblico della croce in caso di ribellione. Lo spettacolo della morte e del sangue versato, peraltro, rientrava nella tradizione dell’intrattenimento romano: le cacce, le condanne ad bestias, le lotte gladiatorie testimoniano non solo l’abitudine a scene di estrema violenza, ma anche il compiacimento ideologico del contemptus mortis (disprezzo della morte).
Anche la violenza di genere è parte costitutiva della storia romana. Fonti mitiche, storiche e epigrafiche riportano le molte vicende di donne maltrattate e uccise da mariti e amanti tra le mura domestiche. Tacito (Annali, XIII, 44) racconta la vicenda di Ponzia, uccisa dall’amante Ottavio Sagitta durante un’ultima notte estorta con suppliche e preghiere; o quella di Apronia, gettata dalla finestra dal marito pretore Plauzio Silvano (Annali IV 22). Svetonio racconta la storia di Mallonia, insidiata dall’imperatore Tiberio, da lei respinto, costretta al suicidio per evitare una condanna infamante per impudicizia richiesta dall’imperatore stesso (Vita di Tiberio, 45). L’epigrafia ci ricorda Giulia Maiana, uccisa dal marito (CIL XIII 2182); Prima Florenzia, appena sedicenne, gettata dal marito nelle acque del Tevere e pianta dai genitori e dal cognato. Nemmeno le donne della casa imperiale sono immuni da tanta violenza: Poppea viene brutalmente colpita al ventre da Nerone mentre è incinta; Annia Regilla, moglie di Erode Attico (console nel 143 d.C.), percossa da un liberto su ordine del consorte, perde la vita ‘per parto prematuro’ proprio a causa di quelle percosse.

 

Per saperne di più:

  • J. Hahn, Gewalt, in H. Cancik-H. Schneider, Der neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, Stuttgart-Weimar, J. B. Metzler, 1998, 1042-1049.
  • A. W. Lintott, Violence in republican Rome, Oxford, Clarendon Press, 1968.
  • A. W. Lintott, Vis, in S. Hornblower-A. Spawforth (a c. di), The Oxford classical dictionary, Oxford, University Press, 20033, 1608.
  • W. Riess-G. G. Fagan, The topography of violence in the Greco-Roman world, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2016.
  • Pasqualini, Femminicidio e stalking nell’antica Roma. In: Donne nell’antichità: figlie, sorelle, madri, streghe, sante. Forma Urbis 2015 XX,3, 29-3
  • H. Thylander, Inscriptions du Port d’Ostie, 1951-2, p. 155 A210

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