La deformità, la mancanza, il difetto e l’imperfezione sono, in tutto il mondo antico, criterio di esclusione sociale, educativa, giuridica e sanitaria del bambino; i bambini ‘incompleti’ sono solo talvolta educabili, non sono curabili, non sono accoglibili come soggetti di diritto in un costrutto sociale allargato. La storia della disabilità infantile nel mondo greco e romano risponde, così, al progressivo strutturarsi di alcuni modelli esplicativi di riferimento: innanzitutto, il modello ontologico o religioso, che spiega la deformità, la mostruosità e l’incompletezza mentale come segni di una punizione che gli dei infliggono a genitori colpevoli di peccati di hybris; secondo questo modello, il corpo del bambino è sede di impurità, indesiderabilità e debolezza, e va trattato con cerimonie sacre ed incantamenti più che sottoposto ad un qualche tipo di cura. Questo stato concettuale, che corrisponde all’era pre-classica, è ovviamente non documentabile (o solo marginalmente documentabile, come accade nel caso dei cicli omerici) sulla base di testi scritti, ma possiamo ipotizzare che coincida con quanto accade in civiltà nomadiche o agrarie, in cui i bambini disabili sono variamente trattenuti presso le famiglie di origine o ostracizzati ed isolati come portatori di disgrazie per il gruppo sociale di provenienza. Al modello religioso di disabilità segue un modello di tipo medico, fondato sulle citate teorie ippocratiche, e poi platoniche ed aristoteliche; ma anche questo modello non prevede l’intervento di tipo terapeutico sul bambino, se non in fasi cronologiche avanzate, databili intorno alla prima età imperiale romana. Sorano di Efeso, il trattatista greco che, durante il regno di Traiano e di Adriano, dedica un’intera opera alla discussione delle malattie delle donne e dei bambini, è il primo autore medico a sostenere una ‘recuperabilità’, perlomeno parziale, del corpo dei bambini nati deformi: essi vanno affidati alle mani di un’ostetrica esperta, che attraverso un sapiente dosaggio di bagni tiepidi e massaggi, ripristini il danno causato dalla natura. Questo segna, in qualche modo, un elemento di svolta nella concettualizzazione della natura del bambino e della sua malattia; non più oggetto di una insanabilità definitiva, il bambino nato prematuro, frutto di un parto complicato, o poco vitale deve essere osservato dal medico con attenzione, al fine di comprendere se i suoi deficit sono transitori ovvero segno di più gravi insufficienze. Infatti, le malattie della madre indeboliscono il corpo del figlio e causano danni valutabili dalla presenza e dalla qualità del pianto neonatale, da un’osservazione attenta della ‘buona costituzione’ di tutte le parti del corpo, della bocca e della viabilità di tutti gli orifizi, che non debbono essere né eccessivamente chiusi né troppo lassi, dalla flessibilità delle articolazioni, dalla loro misura, conformazione e sensibilità. Alcuni difetti fisici sono, se presenti, trattabili: questo accade anche nella trattatistica chirurgica, in cui l’acquisita crescente competenza tecnica autorizza i medici ad intervenire sui difetti gravi, almeno per sanare la loro ‘visibilità’. I chirurghi osano correggere le imperforazioni delle orecchie e degli organi sessuali femminili, la polidattilia, alcune escrescenze carnose dell’utero: difetti lievi, che non pregiudicano né la capacità di sopravvivere né la funzionalità del corpo, e che non toccano le capacità ideative e cognitive. Alcune ‘mostruosità’ sono, in sostanza, aggredibili e riconducibili ad uno statuto di ‘quasi-normalità’.
Ne esistono altre, che toccano per esempio la sfera sessuale (gli ermafroditismi ne forniscono l’esempio più calzante) che non sono ritenute curabili ma continuano a suscitare la forte ripugnanza legata alla deroga alla dimensione morale; Galeno ha molti scrupoli nel consigliare gli interventi di questo tipo, ed analoghe esitazioni caratterizzano l’opera di Paolo di Egina o le narrazioni inerenti i mostri di Tito Livio. Ma quali sono i bambini che il mondo greco ed il mondo romano riconoscono come non normali? Abbiamo a disposizione due diverse modalità di analisi: la riflessione su un caso specifico (l’epilessia o il nanismo, per esempio) e l’analisi della situazione legislativa, che consente di definire cosa legalmente sia, almeno a Roma, un ‘deforme’. Nel primo caso, si tratta di analizzare, per sommi capi, l’atteggiamento del mondo antico nei confronti di una grave deroga alla crescita corporea, diffusa con incidenza analoga all’attuale e molto ben documentata da una straordinaria quantità di materiale iconografico e letterario. Gli acondroplasici, per esempio, siano bambini o adulti, sono elettivamente indicati come concretizzazione della diversità; indicati nelle fonti mitologiche come Pigmei o Cercopi, essi assimilano la loro estraneità fisica a quella geografica di provenienza; come demoni e seguaci del dio deforme Efesto, costituiscono la ‘zona d’ombra’ della luminosa mitologia greca. E’ facile dunque che questi esseri, dotati di un corpo ‘diverso’, siano utilizzati dall’iconografia, soprattutto fittile, per designare la sfera della lontananza, nel migliore dei casi di una bizzarria che induce il riso ed esclude il bambino acondroplasico dai giochi e dalle attività ludiche del bambino ‘normale’. Nella seconda modalità di analisi, oggetto degli studi di D. Gourevitch, l’esame della legge romana, in particolare della legislazione augustea relativa al matrimonio ed alla procreazione (ius trium liberorum), può offrire qualche dato ulteriore specificamente inerente al mondo romano. Quali sono i bambini che possono essere inclusi tra i figli da riconoscere come legittimi, in quanto ‘normali’? Esistono varie tipologie di neonati che debbono essere considerati come ‘nati morti’; sono i mostri, i frutti dei parti prematuri, i bambini nati a termine ma che non hanno pianto. Il bambino di forme insolite, con modalità di comportamento anomale (per esempio il pianto), dotato di arti soprannumerari è un prodigium non pienamente assimilabile all’essere umano e quindi non può essere ‘contato’ tra i figli legittimi che consentono accesso al piano di finanziamento statale per le famiglie con più di tre figli. Le eccezioni a questa assoluta non considerazione del bambino malato esistono, seppur rare, e sono evidenziate nel lavoro di D. Gourevitch30: bambini muti, aiutati dalla musica e dalla pittura ad inserirsi nel mondo circostante, addirittura imperatori affetti da paraplegia spastica e congenita, complicata da convulsioni e da problemi intellettivi: espressioni, entrambi i casi, di un mondo socialmente favorito, in cui si può pensare ‘persino’ di ovviare ad un deficit grave, imposto dalla natura. La sorte dei bambini malformati è dunque non sempre uniforme, ed il loro destino nel mondo antico sembra fortemente dipendere dalla condizione sociale e culturale delle famiglie di provenienza.
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